di SARA LIGORIO, educatrice Nido blu

Riuscire a calmare una persona arrabbiata non è mai semplice e ciò diventa ancor più difficile se ad essere calmato è un bambino che fa ancora fatica a riconoscere in modo preciso ciò che prova. Pianti inconsolabili, forte agitazione motoria, urla… relazionarsi con un bambino arrabbiato è spesso molto faticoso e può attivare anche in noi stessi forti emozioni: ci si può sentire impotenti difronte ad una perdita di controllo nel proprio bambino, spaventati, arrabbiati, dispiaciuti… è tutto normale!
Partiamo dal capire meglio cosa sia la rabbia e a cosa serva ai bambini. Molto spesso quando si pensa alla rabbia e all’aggressività si fa riferimento a delle emozioni negative, distruttive, spesso da volere liminare. In realtà tale emozione è stata definita adattiva poiché aiuta il bambino a mettersi in guardia contro i pericoli, permettendogli di reagire; si tratta di un meccanismo di protezione che ha il compito di segnalare a sé e all’altro che qualcosa non va, che qualcuno ci sta facendo del male, ci sta dando fastidio, che non si ritenga giusto qualche comportamento, che i propri bisogni o desideri non siano stati soddisfatti. Ciò ci stimola a farci valere e a comunicare il proprio stato emotivo.
Fino ad ora abbiamo parlato di rabbia che è lo stato emotivo provato dal bambino in situazioni di pericolo o minaccia dei propri bisogni; il comportamento strettamente correlato è l’aggressività. Anch’essa, così come la rabbia, non è da connotare esclusivamente in maniera negativa in quanto fa parte del percorso di crescita e autoaffermazione di sé come soggetto autonomo. Infatti nel primo anno di vita l’aggressività del bambino è una modalità specifica sia di reagire alle frustrazioni sia di dare spazio alla tendenza esplorativa che caratterizza proprio i primi anni di vita.
Intorno all’anno e mezzo il bambino esplora l’ambiente in maniera maggiormente autonoma e attiva: inizia a percepirsi come diverso dall’altro e mette in campo comportamenti che gli permettono di definirsi come individuo.

Ad esempio inizia ad esprimere gusti, preferenze, compare il “no”, difende le proprie conquiste che lo fanno sentire capace; dall’altra parte il conquistare delle autonomie significa scoprire le proprie risorse ma anche i propri limiti, percependone tutta la rabbia e la frustrazione.
In questa fase dello sviluppo si possono osservare i giochi del fare e del disfare; i bambini rompono/smontano le cose per capire cosa nascondano. Attraverso ciò il bambino impara ad affermare se stesso, a conoscersi e a conoscere l’ambiente. Quando, verso i tre anni, il bambino ha consolidato certe abilità e si sente più forte, i giochi iniziali si modificano ed è normale che comincino i giochi di rivalità che necessitano la mediazione di un adulto per contenere le emozioni che la rivalità implica e per aiutare i bambini nel comprendere quale sia il modo corretto di stare con l’altro.
Durante la prima infanzia si parla principalmente di aggressività fisica che non va confusa con un comportamento violento o cattivo in quanto il bambino non ha ancora sviluppato le competenze cognitive per mettere in atto un comportamento teso a danneggiare intenzionalmente l’altro. Bambini molto piccoli ricorrono prevalentemente a forme fisiche di aggressione poiché non dispongono ancora delle abilità linguistiche e cognitive che consentono loro di ricorrere al linguaggio esprimendo ciò che provano; ciò si associa, come inizialmente detto, all’incapacità di regolare e gestire in autonomia il turbinio di emozioni che si scatena dentro di loro. Loro sentono
l’emozione nel corpo senza comprendere ciò che gli accade e senza riuscire a comunicarlo!
Per potere maturare delle competenze hanno bisogno della figura dell’adulto: qualcuno che li accompagni nella comprensione e nella regolazione di ciò che provano. E’ quindi fondamentale la funzione del genitore che possa “reggere” le loro emozioni, contenerle, nominarle, regolarle e indicare dei comportamenti adattivi da mettere in gioco per esprimerle. Ad esempio, capita spesso anche al nido che un bambino voglia giocare con il gioco di un altro bambino e, dovendo aspettare, si arrabbi e diventi aggressivo con l’altro: in questi casi è importante spiegare al bambino cosa stia succedendo “Ora sta giocando Luca, quando ha finito puoi usarlo tu”, verbalizzare e comprendere l’emozione
provata “So che questa cosa ti fa arrabbiare” e aiutarlo nel regolarsi magari aspettando con lui e proponendogli un gioco alternativo nell’attesa. Vale la pena aggiungere che se l’aggressività può recar danno al bambino o ad altri può essere necessario un allontanamento fisico dalla situazione relazionale per dar modo al bambino di “lasciar scorrere” l’emozione e comprendere che ad essa si può “sopravvivere”. In ogni caso è importante parlare al bambino aspettando che non sia più accecato dalla rabbia in modo tale che possa essere disponibile all’ascolto.
Tutto ciò non è affatto semplice per il genitore! È importante accettare di non essere dei genitori perfetti e di accontentarsi di essere genitori “sufficientemente buoni” come citava Winnicott, pediatra e psicoanalista britannico, capaci di accettare i propri limiti, ma nello stesso tempo realmente disponibili a fare del proprio meglio ed essere sintonizzati sui bisogni dei propri figli. Concludendo, per provare a cavalcare
insieme al vostro bambino l’onda delle sue emozioni alla base di un comportamento aggressivo è importante comprendere che le emozioni “negative” non passano solo perché decidiamo di non dargli importanza bensì si regolano quando riusciamo a dargli un nome e a sentirci
compresi; inoltre il bambino è sensibile anche allo stato emotivo del genitore stesso, più si è calmi e rilassati, maggiormente il bambino riuscirà a rilassarsi. Infine, nonostante il bambino non parli ancora, è in grado di sintonizzarsi sul tono che ascolta, per questo bisogna
abituarlo a sentire le parole utili ad esprimere le emozioni; allo stesso tempo però bisogna essere in grado anche di porre dei limiti ai comportamenti inadeguati, facendo capire loro che ciò che è sbagliato è il “mordere” o il “tirare i capelli” e non l’essere arrabbiati!

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